Mont Nery

By 26 Agosto 2023Montagna

(immagine: La Corda Arancione acquerello originale su carta)

Da diversi anni contemplo il Mont Nery dalla mia finestra, la sera prima di addormentarmi e la mattina aprendo gli occhi assonnati. Lui, anzi Lei è sempre lì: una montagna alta, rocciosa, un po’ in disparte.

La saluto e le sorrido dal mio letto che è proprio nel salotto che poi è anche la cucina, perché è meraviglioso aprire lo sguardo sui monti, con le stelle o con il sole.
Naturalmente volevo andarci, lassù, ma le informazioni che avevo raccolto, oltre che discordanti e poco chiare, erano allarmanti e spaventose: lunga, difficile, non segnata, a tratti esposta, c’è un po’ da arrampicarsi, da sola meglio di no. E dunque ho cercato aiuto.
E l’ho trovato grazie a un’amica preziosa che mi ha affidata al marito, montanaro esperto camminatore; uno di quei supereroi della Montagna che la conoscono a menadito e la percorrono in lungo e in largo a corsa su e giù per tutti i passi, le cime e le vallate.
In effetti ero abbastanza terrorizzata di andare con lui perché non mi sentivo all’altezza e avevo paura di essere una zavorra, ma insomma invece mi ci ha portata e lo ha fatto pure insieme a un amico (stessa paura: non uno ma ben Due! Due montanari valdostani doc che si portano appresso una pisanina piccola come un soldo di cacio).
Ed è stato bellissimo!!!
Dunque, oltre all’euforia che la sera mi ha resa insonne (pur essendomi svegliata alle 4.20 del mattino), mi sono portata a casa un’aria fresca di bosco incantato, i laghi Frudiere sonnecchianti di primo mattino, tappeti di mirtilli che era un peccato calpestare – ma non mangiare! -, un altro splendido ricordo da ricordare e Parole Belle, che… eccole qua:
ROCCE.
Rocce ovunque, Sassi, sassoni, sassolini, immobili, franosi, rotolanti, vicini e lontani, spostati da chissà chi, da chissà cosa.
Scorticati dalla montagna, disturbati dai nostri passi e dai nostri balzi.
Rocce rugginose rosse lassù in cima, rosse di ferro e di succo di ribes.
Pietre bianche così lucenti che me le volevo portar via ma lo zaino era già sufficientemente pesante, e poi stavano bene lassù dove stavano.
STAMBECCHI.
Stambecchi selvatici non abituati a vedere persone lì (e ci credo!) e così più timidi ma che si sono esibiti in corse, salti, danze tra le rocce impervie e verticali, agili e leggeri, come farfalle sui fiori (ma pure loro le facevano cascare, le pietre!).
MANI.
Le mie Mani, le dita che toccano la pietra, che cercano e afferrano, a scovare appigli sicuri che non si sfaldino alla prima presa.
Ma che sicurezza mi dava quella roccia, pur franosa, quando mi assicuravo a lei, fredda, forte e compatta.
Mani sbocconcellate dalla roccia e gambe sbucciate e tinte qua e là da sfumature violacee.
Mani che hanno lasciato tracce ad ogni tentativo di presa, ad ogni esplorazione, ad ogni pulizia da sassolini di troppo.
Altre Mani che mi hanno tenuta.
PAURA.
Forse avrei dovuto aver paura di rotolare giù con i sassi che franavano, o scivolare nel vuoto sulla cresta, ma nemmeno per un istante ho avuto paura. La mia paura? Mi accorgo sempre di più, se mi fermo a riflettere, che la mia paura non è tanto morire – non in montagna, ché sarebbe pure una bella morte – ma no, paura di Non Vivere.
FIDUCIA.
Fiducia nei miei compagni, nell’entusiasmo e nella guida di Luciano (il supereroe), nella calma, nelle mani -e nella corda arancione!- di Luca. Fiducia di non essere sola e poter essere guidata e sorretta ad ogni passo, cosa cui non sono proprio sempre abituata.
Fiducia che alleggerisce.
CIMA.
Adoro la cima, adoro essere lassù tra “Ceppi di Montagne” (questa è di Luca) .
Adoro stare in cima al mondo, e abbracciarlo.
E la scatola di latta rugginosa come le rocce, addormentata sotto le pietre di vetta, con il quaderno per montanari e scrittori.
PROFUMI.
Il profumo del Genepy incastonato tra le rocce e l’afrore d’erba di montagna che sento solo qui e che mi dice che sono a Casa.
CACCA!
Sì! I miei due compagni mi hanno insegnato svariati modi di dire la parola ‘cacca’ in patois (cosa credevate, che mi avessero insegnato i vari modi di dire la neve, come Rigoni Stern? Beh sì, mi hanno insegnato pure quelli!). Poi mi sono dimenticata tutto, cacche e nevi, ad eccezione di una parola che descrive la cacca liquida delle mucche che viene sparata sui prati (sentiste che profumino se avete la malaugurata sorte di passare di lì) e si dice “Lacca”. E come dimenticarla? Nella mia testa si è subito stampata chiara l’immagine della Lacca sui capelli! Bleah.
GRAZIE.
Grazie sempre alla Montagna.
E Grazie ai Montanari.
Nota tecnica.
Il Mont Nery è alto 3075 m, noi siamo partiti da Graines (1375 m) e tornati a Tollegnaz (980 m), dunque 1700 m di dislivello in salita e 2065 di discesa. I piedi a bagno nel torrente d’acqua ghiaccia a fine camminata, hanno ringraziato.
Infine, due meravigliose poesie di Antonia Pozzi che ho avuto nell’anima e nel cuore per tutta la salita abbracciata alla roccia (di quel pezzo non ci sono foto, per ovvi motivi).

Il taglio
Delle rupi più eccelse
era il disegno
della mia forza – in cielo.
E non parlare di rovina
tu cuore –
fin che uno spigolo nero a strapiombo
spacchi l’azzurro
e una corda s’annodi all’anima

La Roccia – Antonia Pozzi

Non monti, anime di monti sono
queste pallide guglie, irrigidite
in volontà d’ascesa. E noi strisciamo
sull’ignota fermezza: a palmo a palmo,
con l’arcuata tensione delle dita,
con la piatta aderenza delle membra,
guadagnamo la roccia; con la fame
dei predatori, issiamo sulla pietra
il nostro corpo molle; ebbri d’immenso,
inalberiamo sopra l’irta vetta
la nostra fragilezza ardente. In basso
la roccia dura piange. Dalle nere,
profonde crepe, cola un freddo pianto
di gocce chiare: e subito sparisce
sotto i massi franati. Ma lì intorno,
un azzurro fiorire di miosotidi
tradisce l’umidore ed un remoto
lamento s’ode, ch’è come il singhiozzo
rattenuto, incessante, della terra.

Dolomiti – Antonia Pozzi

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