Al bivacco Gervasutti

By 19 Ottobre 2024Montagna

Il bivacco Gervasutti pare un tubetto di colore appoggiato in bilico tra un pezzo di roccia bianca e un vuoto cosmico, sulla montagna più alta che c’è, almeno qui nel continente europeo: il Monte Bianco, subito sotto la parete Est delle Grandes Jorasses.

L’ho raggiunto insieme a un meraviglioso quintetto di valdostani dalle gambe di roccia e dalle voci ridenti, dopo esservi stata fortuitamente introdotta dal mio amico Luciano.

A farmi arrivar su senza troppo sfigurare più che la forza poté l’orgoglio, oltre alla scoppiettante compagnia e alla bellezza della mia prima ferratina con la corda ‘attacca e stacca’.

Non solo ferrata però, perché nell’ascesa, circondati dall’incanto bianco, abbiamo attraversato ruscelletti glaciali e nevai abitati da enormi candele di ghiaccio, e abbiamo dovuto farlo quasi correndo perché… “non si sa mai che scarichi” (rocce sulle nostre teste)!

E poi è sempre tanto bello accarezzare la pietra liscia e scovare gli appoggi dove incastrare piedi e mani, illudendosi di non essere legata da sopra e da sotto e accudita da tanti valorosi compagni. I quali valorosi compagni, arrivati su e fatto il loro ingresso nel bivacco dagli oblò con vista ghiaccio, quasi sulla Luna, hanno tirato fuori dagli zaini ogni ben di dio da mangiare, ma soprattutto due bottiglie di vino e una specie di ampolla con una verde pozione magica molto promettente; o allarmante, a seconda dei punti di vista!

Ma i montanari (e loro lo sono per davvero e non per celia) hanno retto egregiamente il tasso alcolico sorretti da panini, biscotti, formaggio e zuccherini inzuppati.

Io mi son bevuta solo il mio tè, ma mi sono inebriata di racconti, risate e canti.

Per digerire e smaltire siamo saliti ancora un po’ più su del bivacco, arrampicandoci su una corda volante, ad assaporare un respiro d’aria più alta e a bearsi di quello splendore dalle sfumature bianche-grigio-azzurre che non vedo l’ora di dipingere.

Tutt’intorno a noi altezze strapiombanti e intagli di rocce, sculture imponenti imbiancate dal sole, templi di guglie trasparenti antichi e silenziosi.

E quando tutti sono nella meraviglia della contemplazione io sento solitudine, ma una solitudine beata, priva del turbamento che abita la paura o la tristezza; colma solo di ciò che mi fa sentire viva, appagata, esattamente dove voglio essere.

I miei compagni:

Luciano, compagno delle camminate quelle lunghe e difficili che da sola non so fare; Luciano ama la montagna più di se stesso e si trasforma in un bambino felice quando può saltare tra le rocce o sciare su nevai ghiacciati e in discesa, naturalmente senza sci ma scivolando sugli scarponi con quella piega del corpo in avanti che a me non riuscirà mai perché ho troppa fifa di volare nel vuoto.

Luigi il timido, gentile e silenzioso, col casco bianco a proteggersi forse più dagli sguardi altrui che dai sassi cadenti. Poche parole accennate, spezzate, interrotte. Un rossore al viso di chi non è abituato a vestire i panni dell’affabulatore.

Affabulatore invece è suo fratello Renzo, che declamava gesta eroiche e canti popolari, riempiva i bicchieri di vino e si esprimeva mezzo in patois e mezzo in italiano, quando si ravvedeva che c’ero anch’io; regista entusiasta di un filmino semi-professionale che avrebbe dovuto testimoniare la nostra ascesa, ma tradito dalla telecamera che quel giorno ha fatto sciopero.

Poi Pasc, dai modi dolci e ridanciani, valdostano d’adozione ma montanaro nel sangue, fiero dei biscotti della moglie che siamo stati tutti felici di assaggiare.

In coda – chiudeva il gruppo per seguirmi ed evitare che mi uccidessi – Giancarlo, gentiluomo e guida esperta, sapiente e garbato; lo sguardo attento che scruta, osserva e studia, due polpacci scolpiti, un’espressione chiara sul volto di chi sa la verità e, forse, è in pace.

Nessuno pseudo-maschio-alfa-pontificante: cosa che ho apprezzato infinitamente!

La discesa è stata altrettanto gustosa con, nel finale, tutti i piedi a mollo nel torrente ghiacciato e sferzante.

Scesi dalla navetta che dalla Val Ferret ci ha riportati a Courmayeur, le persone vestite bene sedute sulle panchine fissavano i miei accompagnatori con l’ammirazione riservata a chi torna da una missione per salvare il mondo; io insieme a loro, mento alto e sguardo fiero, felice e orgogliosa di far parte dell’eroica impresa.

 

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