L’Emilius è una vetta che sembra una piramide e sta lì, sopra Aosta, a toccare le nuvole e il cielo con il suo naso aguzzo.
Sull’Emilius volevo salire da quando ero ragazza: un frate dal sorriso aperto e dalle gambe forti mi raccontò la storia di una bambina, Emilia, che era salita lassù e aveva compiuto un’impresa memorabile, tipo salvare il nonno o lo zio o non ricordo chi. Che poi il nome della montagna fosse stato declinato al maschile, all’epoca mi dette un po’ fastidio, e l’odore di sospetto maschilismo contribuì a rinforzare il mio desiderio di camminare sulle orme di quell’intrepida bambina.
Così ho chiesto di accompagnarmi lassù all’amico della montagna Luciano, che mi porta a spasso per i monti fischiettando tranquillo mentre io ansimo come il lupo della Spada nella Roccia.
Naturalmente con lui il percorso che di solito si fa in due giorni va fatto in uno, e dunque siamo partiti da Pila alle 6.30 (e da Estoul un’ora prima, e dal letto due ore prima) per arrivare al Bivacco Zullo e lì abbiamo attaccato la ferrata, segnata di 5 ore ma noi siamo bravissimi e ce ne abbiamo messe 3 e 40, anche se Luciano avrebbe fatto ancora prima senza il mio terrore atavico del ponte sospeso e le mie esitazioni da ferratista inesperta.
Ad ogni modo, non so che strada abbia fatto la bimba Emilia, ma toccare quelle rocce è stato come accarezzarla e fare amicizia, di quelle belle che ridi e, anche se non parli, senti tutto dell’anima dell’altra.
Camminare e arrampicarsi lassù, in alto in alto in alto -la cima arriva a 3559 metri-, in cresta quasi continua, è fare l’amore con la montagna, è aspirare il cielo, è volare.
E io lassù sono felice, sempre.
Al ritorno, sul versante opposto, abbiamo sciato su briciole di sassi, percorso a balzi il sentiero sulle pietre e ci siamo ritrovati su Marte, la terra rossa e il silenzio dell’universo, incontrando solo un’impavida e vanitosa marmotta, che si è concessa alla nostra ammirazione zigzagando disinvolta tra rocce e ciuffi d’erba secca.
Grazie sempre alla Montagna, Grazie a Luciano, Grazie a Emilia.
(e la vista da lassù, la vista!!!)
Nota: La storia poi me l’hanno raccontata di nuovo ma del presunto salvataggio non ho menzione; solo del canonico Georges Carrel che portò su una ragazzina di 14 anni di nome Emilie, nel 1939, e di un gruppo di alpinisti maschi che, non volendo dare alla montagna il nome di una ragazza, decise di utilizzare il latino e sbrigare così la faccenda. Piccoli uomini.