Testa Grigia

By 28 Agosto 2023Montagna

Ultima camminata impegnativa di questa bella estate (poi, per un po’, non vi ammorbo più!), la Testa Grigia (3315m). È stata corona delle tre altezze raggiunte con un dislivello maggiore di 1700 m in salita, che prima d’ora non avevo mai fatto. Mi piace e mi gratifica superare i miei limiti e poter essere più libera di andare dove voglio (più o meno!), ma questa motivazione occupa solo una piccola parte dell’idea che ho della Montagna.

 Quello che desidero di più è avere una specie di comunione con le mie camminate, brevi e lunghe, semplici e impegnative; intraprenderle con un senso, sentirle dentro, profondamente, prima di affrontarle. Non è poi tanto dissimile da quando scelgo un soggetto per i miei acquerelli: posso programmare e pianificare, ma la vera scelta avviene lì, in quel momento, quando ho il mio Tempo davanti e inizio a disegnare.
La Testa Grigia ha sempre avuto un significato particolare, e un po’ (molto) triste. Prima d’ora, l’ultima volta che l’avevo raggiunta era stato nel 1986, con la mia famiglia e alcuni amici, in una giornata che da assolata si trasformò ben presto in una scenografia di nuvole e nebbia che avrebbe scoraggiato chiunque a proseguire ma non il mio babbo, che in un miscuglio tra caparbietà e incoscienza, non ne volle sentire di tornare indietro. Io in realtà, di quella giornata, non ho ricordi precisi delle ore trascorse – avevo dieci anni -, ma nella memoria ho un dolore. Una salita in mezzo ai fiori, la fatica di un cammino lungo, lo sguardo serio di babbo quando ci si parò davanti un passaggio molto esposto: completamente immersa nella nebbia, la cengia con a destra il dirupo, la roccia prominente a sinistra, quasi pronta a sputartici dentro, nel vuoto, se avessi osato passare di lì. Forse mia mamma provò a convincere babbo a demordere, non ricordo, ma lui proseguì e si fermò al centro della cengia con le spalle al dirupo e le braccia stese appoggiate alla roccia, a creare un’altra parete di un’immaginaria galleria che avrebbe protetto tutti noi, ma non lui, al passaggio. E così passammo, uno alla volta, nel grigio totale.
La nebbia restò anche sulla cima, rendendo tutto incerto, da dove venissimo e dove stessimo andando.
Mio babbo se n’è andato pochi mesi dopo. La cosa grigia che l’ha portato via è stata la strada, non la montagna, come forse avrebbe preferito.
Da quando vengo qui in Val d’Ayas buttavo sempre un occhio a quella montagna grigia e affilata, che si slancia verso il Monte Rosa, a raggiungerlo o a proteggerlo. La guardavo con un desiderio di salirla in una mistura di paura, rabbia, sentimento di sfida, aspirazione, amore.
Ed ecco, questa è la spinta che ho sentito qualche giorno fa. Ero allenata, preparata e motivata, forse con la stessa caparbietà di quel babbo lontano ma sempre così vicino.
Decido di salire senza prendere gli impianti da Champoluc, ma direttamente dalla piazza della chiesa, prima per il bosco silenzioso, poi piano piano per i prati e sempre più su. Perché voglio arrivarci con le mie gambe e con il mio respiro, non con una macchina affollata e rumorosa.
La mia mente, una volta tanto, è in silenzio, il mio passo lento e regolare.
Non guardo l’ora e non scatto molte foto, perché sono lì per la Montagna e per Babbo.
Attraverso i pascoli, salgo il sentiero, raggiungo il passo e arrivo sulla cresta finale, dove trovo le catene che mi erano state raccontate e vedo il passaggio, quello pericoloso, quello grigio, nella nebbia, abitato da ombre di ricordi.
Ora c’è il sole, la giornata è meravigliosa, e persone un po’ dietro e un po’ avanti. Io sono sola, ma non sono mai sola. Non mi fa paura, anche se ogni passo chiede attenzione.
Cammino ancora, avanti, e dopo poco, arrivo in cima.
Lì vorrei trovare il Silenzio, ma purtroppo è cosa sempre più difficile con questi aggeggi infernali che abbiamo incollati alle mani che triniscono, squillano, vocalizzano e schiavizzano i propri possessori. Ma cerco di non fare la solita snob dei tempi andati che brontola e giudica (chi è senza peccato scagli la prima pietra) e provo a raccogliermi comunque nella contemplazione del mondo meraviglioso che ho intorno, nell’emozione d’immenso, d’aria luce e vento che arrivare alla vetta mi regala ogni volta e nel ricordo della nebbia di qualche anno prima, come fosse passata – solo – qualche ora.

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